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- venerdì | 24/01/2025
- 16:00 - 18:00
- via delle sette sale 30z
Precarietà della libertà.
Rendiamoci ben conto dell’essenza originaria della libertà.
Prima non c’eri, adesso ci sei. Ma che cosa vuoi dire parlar di libertà, se prima non c’eri, e vien fuori totalmente come momento emergente, come frangente passeggero di tutta questa enorme ondata, di questo gran de torrente che è il mondo e la storia? Se questo punto che sono io nasce totalmente come parte di quella realtà in divenire, come esito dei suoi antecedenti fisici e biologici, non ha nessun diritto di fronte ad essa, essa ne può far ciò che vuole come di un sasso un torrente impetuoso.
Fondamento della libertà.
Se l’uomo nascesse totalmente dalla biologia di padre e madre istante breve in cui tutto il flusso di innumerevoli reazioni precedenti producono questo frutto effimero; se l’uomo fosse solo questo, sarebbe realmente ridicola, cinicamente ridicola la parola «libertà», l’espressione «diritto della persona», la parola stessa «persona». La libertà così senza fondamento è flatus vocis: un puro suono che il vento disperde.
In un solo caso questo punto, che è l’uomo singolo, è libero da tutto il mondo, è libero, e tutto il mondo non può costringerlo, e l’universo intero non può costringerlo; in un solo caso questa immagine di uomo libero è spiegabile: se si suppone che quel punto non sia totalmente costituito dalla biologia di suo padre e di sua madre, ma possegga qualche cosa che non derivi dalla tradizione biologica dei suoi antecedenti meccanici, ma che sia diretto rapporto con l’infinito, diretto rapporto con l’origine di tutto il flusso del mondo, cioè da Dio.
Solo nella ipotesi che in me esista questo rapporto, il mondo può fare di me quel che vuole, ma non mi vince, io sono libero. Qui si fonda e si spiega il diritto fondamentale alla libertà di coscienza, alla capacità e al dovere quindi di giudicare e di agire secondo un ultimo proprio paragone con la verità e il bene. Ecco il paradosso: la libertà è la dipendenza da Dio. È un paradosso, ma chiarissimo.
L’uomo, l’uomo concreto, io, tu non c’era, ora c’è, domani non sarà più: dunque dipende. O dipende dal flusso dei suoi antecedenti materiali, ed è schiavo del potere; o di pende da Ciò che sta all’origine del flusso delle cose, oltre esse, cioè da Dio.
La libertà si identifica con la dipendenza da Dio a livello umano, cioè riconosciuta e vissuta.
Mentre la schiavitù è negare o censurare questo rapporto. La coscienza vissuta di questo rapporto si chiama religiosità. La libertà è nella religiosità! Per questo l’unica remora, l’unico limite, l’unico confine alla dittatura dell’uomo sul l’uomo, si tratti di uomo o di donna, si tratti di genitori e di figli, si tratti di governo e di cittadini, si tratti di padrone e di operai, si tratti di capi partito e di strutture in cui la gente serve, l’unica remora e l’unico confine, l’unica obiezione alla schiavitù del potere, l’unica è la religiosità.
Per questo chi ha il potere, chiunque sia, familiare o collettivo, è tentato di odiare la religiosità vera, a meno che sia lui stesso profondamente religioso. Se l’uomo, il singolo, non è rapporto diretto con l’infinito tutto ciò che fa il potere è giusto.
Per questo Cristo nel Vangelo ha esaltato il suo rapporto con i bambini, con gli ammalati, i vecchi, coi peccatori pubblici, coi poveri, con la gente segnata a dito, cioè con la gente socialmente incapace di difesa.
Il che significava: anche il più incapace di difesa ha un valore sacro, assoluto; piuttosto che torcergli un capello sarebbe meglio «mettersi una macina da mulino al collo e gettarsi in fondo al mare».
E dove la dignità assoluta dell’uomo è stata affermata con più perentoria drammaticità che nella frase già citata: «Che importa se ti prendi l’universo e poi perdi te stesso? o che darà l’uomo in cambio di se stesso?».
L’antipotere è l’amore: e il divino è l’affermazione dell’uomo come capacità di libertà, cioè come irriducibile capacità di perfezione, di raggiungimento della felicità come irriducibile capacità di raggiungere l’Altro, Dio. Il divino è amore. Come testimonia questa splendida poesia di Tagore: In questo mondo coloro che m’amano cercano con tutti i mezzi di tenermi avvinto a loro. Il tuo amore è più grande del loro, eppure mi lasci libero. Per timore che io li dimentichi non osano lasciarmi solo. Ma i giorni passano l’uno dopo l’altro e Tu non ti fai mai vedere. Non ti chiamo nelle mie preghiere non ti tengo nel mio cuore, eppure il tuo amore per me ancora attende il mio amore.