il Raggio

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  • venerdì | 10/03/2023
  • 16:30 - 18:00
  • via delle Sette Sale 30/z

        Carità

L’accettazione della vita come vocazione, come funzione del Tutto, definisce l’esistenza come un profondo destino a condividere la Realtà da cui originalmente si nasce e da cui continuamente si dipende; un profondo destino a parteciparvi, accettandola ed offrendosi ad essa, come alla volontà di Dio, come al Suo regno. L’accettazione della vita come vocazione impegna l’esistenza come carità.

Raccogliamo alle origini della nuova umanità redenta dallo Spirito di Cristo i paradigmi più eccezionali per la ricchezza e la semplicità dell’amore: «Ut sint consummati in unum».
«… Essi allora fecero di nuovo chiamare gli Apostoli. Dopo averli fatti battere con le verghe, proibirono loro di parlare ancora di Gesù, e li rimisero in libertà. Quelli – gli Apostoli – se n’andarono dal Sinedrio tutti contenti di essere stati degni di oltraggio a causa del Suo nome. Ed ogni giorno, al Tempio e nelle case, non smettevano di annunciare la Buona Novella del Signore Gesù» (At 5,40-42).

«Fratelli, nessuno mi deve credere pazzo; o, se volete, trattatemi pure da pazzo, ma lasciate che a mia volta vi parli di me stesso… Essi – i miei nemici – sono Ebrei? Anch’io. Israeliti? Anch’io. Discendenza di Abramo? Anch’io. Sono ministri di Cristo? – parlo da stolto – Io più di loro. Molto di più; nelle copiose fatiche, nelle molte prigionie, nelle innumerevoli percosse ricevute. Più d’una volta fui vicino a morire. Cinque volte ho ricevuto dai Giudei i quaranta colpi meno uno; tre volte fui flagellato; una volta preso a sassate; naufragai tre volte. Mi è capitato di passare una notte ed un giorno in mare aperto. Ho fatto moltissimi viaggi, fra i pericoli dei fiumi, i pericoli dei briganti, le minacce dei miei compatrioti e quelle dei pagani, i pericoli della città e quelli del deserto, i pericoli del mare, i pericoli dei falsi fratelli. Fatica e stanchezza, veglie frequenti, fame e sete, molti digiuni, freddo e nudità. E senza parlare del resto, il mio assillo quotidiano, cioè, che è la preoccupazione per tutte le Chiese: chi è stato debole, ed io non lo fui con lui? Chi è caduto, senza che un fuoco non mi bruciasse? Se debbo vantarmi, è dei miei dolori che mi vanterò. Il Dio e Padre del Signore nostro Gesù – sia benedetto in eterno – sa che non dico menzogna. A Damasco, l’etnarca del Re Areta faceva sorvegliare la città per potersi impadronire di me, e fu da una finestra, in una cesta di vimini, che mi si calò lungo le mura, e così io potei sfuggirlo » (2 Cor I I, I 6-33).

I primi Apostoli hanno veramente seguito il Maestro che descriveva la Sua anima nella parabola del Buon Pastore, ove la carità rivela tutta la sua esigenza di iniziativa, creatività e vigore (cfr. Lc I5,4-6).

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