il Raggio

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  • venerdì | 17/03/2023
  • 16:30 - 18:00
  • via delle Sette Sale 30/z

        Universalità

La natura stessa dell’azione cristiana, cioè il condividere, ne indica con perentorietà l’ambito, che è illimitato; impegnarsi in una genuina esperienza di carità significa spalancarsi all’universo. Ogni confine imposto dall’interno all’ampiezza della nostra esistenza mortifica l’amore; esso, l’amore, non è infatti un gusto, né un calcolo, e neppure un nostro intelligente disegno; esso è una umile adesione all’essere così come ci si offre. Per questo, caratteristica essenziale e verifica definitiva dell’esistenza cristiana è la sua illimitata apertura, cioè la sua universalità.
Anche un impegno autenticamente umano è giocoforza che si protenda verso tutti, perché l’umanità appartiene inevitabilmente a tutti; ed una attenzione alla propria esperienza umana non è vera se si apparta – magari inconsapevolmente – dalla esperienza di tutti. Però la chiarezza di una prospettiva uni- versale e l’energia per perseguirla concretamente sono più un dono che una conquista, più un incontro che una genialità personale. Sono il frutto dello Spirito. Allora si capisce perché il primo gesto degli Apostoli dopo la Pentecoste – il discorso di Pietro agli ebrei – testimoni in modo così inequivocabile ed anche clamoroso la dedizione ad un ideale senza confini.
Appena il comando del Signore – «Andate e predicate a tutte le genti» – divenne, per il dono dello Spirito, travolgente e concreta realtà, la Chiesa conobbe l’avvenimento della maturità: perché si esce dall’infanzia e ci si sente adulti solo incamminandosi verso l’universale.

È l’avverarsi di un gesto decisamente umano, di un lavoro fecondo perché finalmente restituito alle sue originali dimensioni. Nessuna esistenza cristiana è tale se non ripete questa chiara apertura all’universo. Tale apertura non si realizza tanto nell’impossibile disprezzo o nel disumano disinteresse del particolare; ma piuttosto nel modo con cui il particolare è vissuto. Famiglia o amicizia, classe o scuola, studio o professione possono di volta in volta diventare oggetto di severo impegno e di genuina dedizione; ma il motivo dell’impegno deve trascendere tutti i voti e tutti i nomi, non si deve fare attaccare a nessuna particolarità, neppure se fosse altissima. Chiunque può trovare facilmente il gusto o le ragioni per occuparsi del breve ambito che lo circonda; ma ogni scelta che non ha altri motivi al di fuori di se stessa non è che un egoismo dilatato, un sentimentalismo ingiusto. Purtroppo il costume odierno afferma eloquentemente, anche nella altisonante menzogna dei suoi conclamati universalismi, la incapacità di superare una prospettiva comunque limitata; incapacità che diviene presto impossibilità di essere fedeli al particolare, così sperimentato angusto e meschino come una prigione.

Al contrario la sicura libertà di una esistenza cristiana, il suo vigile distacco da ogni particolarismo, la decisa prontezza ad ogni autentica novità costituiscono da sole una sicura promessa, una profezia dell’avvento del Regno: «Oracolo del Signore Iddio: Ecco, stanno per venire dei giorni
nei quali manderò la mia fame sopra la terra: non una fame di pane, non una sete d’acqua,
ma fame e sete di udire la parola di Dio.
Ed essi andranno errando da un mare all’altro,
e dal Settentrione all’Oriente;
ed andranno qua e là cercando la parola di Dio, e non la troveranno. In quei giorni saranno sfiniti per la sete
le fanciulle ed i giovani».
(Am 8,II-I3)

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